Vespasiano (9-79)

Venduta per: $1108.0
VESPASIANO (69-79) Sesterzio. D/ Testa laureata R/ Domiziano a cavallo. Coh. - RIC - Tredici 20 Ae g 24,49 Rarissima • Ex Collezione Mazzini (tav. LXVIII, p.57) MB÷BB
Vespasiano (9-79)from the Wikipedia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Tito Flavio Vespasiano)
bussola Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Vespasiano (disambigua).
bussola Disambiguazione – "Tito Flavio Vespasiano" rimanda qui. Se stai cercando il figlio con lo stesso nome, noto semplicemente come Tito, vedi Tito (imperatore romano).
Vespasiano
Busto di Vespasiano(Museo nazionale romano di palazzo Massimo).
Busto di Vespasiano
(Museo nazionale romano di palazzo Massimo).
Imperatore romano
In carica 1º luglio[1] 69 – 23 giugno 79[2]
Predecessore Vitellio
Successore Tito
Nome completo Tito Flavio Sabino Vespasiano Cesare Augusto
Altri titoli Pater Patriae
Nascita Vicus Phalacrinae,[3] oggi Cittareale, 17 novembre del 9[3]
Morte Cotilia, 23 giugno del 79[2]
Luogo di sepoltura tempio dei Flavi o mausoleo di Augusto
Dinastia Flavia
Padre Tito Flavio Sabino[4]
Madre Vespasia Polla[4]
Coniugi Flavia Domitilla[5] (morta nel 69)
Caenis[5] (amante e di fatto sua moglie dopo la morte di Domitilla;[5] c. 65-74)
Figli Tito[5][6]
Domiziano[5]
Flavia Domitilla minore[5]

Tito Flavio Vespasiano, meglio conosciuto come Vespasiano (in latino: Titus Flavius Vespasianus; Cittareale, 17 novembre 9Cotilia, 23 giugno 79), è stato un imperatore romano, che governò fra il 69 e il 79 col nome di Cesare Vespasiano Augusto (in latino: Caesar Vespasianus Augustus). Fondatore della dinastia flavia, fu il quarto a salire al trono nel 69 (l'anno dei quattro imperatori) ponendo fine a un periodo d'instabilità seguito alla morte di Nerone.

(LA)

« Imperatorem stantem mori oportet »

(IT)

« È opportuno che un imperatore muoia in piedi. »

(Vespasiano in procinto di alzarsi in punto di morte)

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Origini familiari (9-25)[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Gens Flavia.

Nacque in Sabina presso l'antico Vicus Phalacrinae,[3] corrispondente all'odierna cittadina di Cittareale (nell'attuale provincia di Rieti) da Tito Flavio Sabino,[4] appartenente ad una famiglia dell'ordine equestre di Reate (odierna Rieti), avente molti possedimenti terrieri nell'alta Sabina. Flavio Sabino fu esattore di imposte e operatore finanziario (come lo era stato il padre, Tito Flavio Petrone);[4] la madre Vespasia Polla, di nobili origini, era di Norcia, figlia di un militare di carriera, Vespasio Pollione[4] e sorella di un senatore. Vespasiano aveva un fratello maggiore di nome Tito Flavio Sabino, più tardi divenuto praefectus Urbi.[4]

Venne educato in campagna, vicino al vicus di Cosa (oggi nei pressi di Ansedonia), sotto la guida della nonna paterna, tanto che anche quando divenne princeps tornò spesso nei luoghi della sua infanzia, avendo lasciato la villa esattamente come era stata.[3]

Carriera militare e politica (25-68)[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Cursus honorum.

Dopo aver preso la toga virilis (all'età di sedici anni durante i liberalia che si celebrarono il 17 marzo del 26), avversò per molto tempo il tribunato laticlavio.[3] Ma poi spinto dalla madre a farne richiesta, servì lo Stato, iniziando il suo personale cursus honorum:

  • inizialmente nell'esercito, in Tracia,[7] come laticlavio[3] per almeno 3 o 4 anni (attorno all'anno 30[8]);
  • più tardi divenne questore nella provincia di Creta e Cirene[3] (nel 34 all'età di venticinque anni);
  • in seguito ricoprì la carica di edile, classificandosi al sesto posto, dopo essere stato respinto la prima volta (nel 38[9]);[3] Svetonio e Dione raccontano un curioso episodio di questo periodo:[9]
« [...] mentre era edile, Caio Cesare (Caligola), adiratosi poiché [Vespasiano] non aveva curato la spazzatura per le strade, aveva dato ordine ai soldati di coprirlo di fango e di riempirne il grembo della sua toga praetexta. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 5)
  • infine pretore (nel 40 all'età di trent'anni), riuscendo tra i primi come ci racconta Svetonio,[3] che aggiunge:
« Come pretore, per acquistare i favori di Caligola, che era in urto con il Senato, propose che fossero celebrati dei giochi per la vittoria [dell'imperatore] in Germania Magna, e che alla pena dei congiurati si aggiungesse anche il fatto di lasciarli insepolti. Lo ringraziò persino in Senato per averlo invitato a pranzo. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 2)

Frattanto in questi anni sposò Domitilla, figlia di un cavaliere di Ferento,[5] da cui ebbe due figli: Tito e Domiziano,[5] in seguito imperatori, e una figlia, Flavia Domitilla.[5] La moglie e la figlia morirono entrambe prima che diventasse princeps.[5]

« Dopo la morte della moglie Domitilla, [Vespasiano] riprese in casa Caenis, liberta di Antonia, che già prima aveva amata e che, quando divenne imperatore, egli considerò quasi come legittima moglie. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 3)
La conquista della Britannia (dal 43 al 50), vide Vespasiano partecipare come legatus legionis della legio II Augusta.

La carriera militare e senatoriale proseguì prima, servendo nel distretto militare germanico della Gallia Lugdunensis come legatus legionis della legio II Augusta (che a quel tempo era di stanza ad Argentoratae[10]) grazie al favore esercitato da Narciso presso l'imperatore.[11] In seguito partecipò all'invasione romana della Britannia sotto l'Imperatore Claudio, dove si distinse, sempre come comandante della II Augusta, sotto il comando generale di Aulo Plauzio.[11][12] Vespasiano partecipò sia all'importante battaglia di Medway insieme al fratello Sabino,[13] sia alla conquista dell'isola di Wight (Vette), penetrando poi fino ai confini del Somerset, in Inghilterra. Di quest'ultimo periodo militare Svetonio ricorda:

« [...] venne trenta volte a battaglia con il nemico. Agli ordini prima di Aulo Plauzio e poi dello stesso Claudio, costrinse alla resa due fortissime tribù e più di venti oppida, conquistando l'isola di Vette, vicina alla costa della Britannia. Ricevette per questi successi gli ornamenta triumphalia e in poco tempo due sacerdozi. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)

Cassio Dione Cocceiano aggiunge di un episodio curioso ed eroico in Britannia (poco credibile per l'età che Tito avrebbe avuto a quell'epoca, di soli otto anni):

« Sempre in questo periodo in Britannia [attorno al 47?], Vespasiano venne colto di sorpresa dai barbari, rischiando di essere ucciso, ma suo figlio Tito (?), preoccupato per il padre, con una grande audacia spezzò l'accerchiamento, e dopo aver iniziato a respingere i nemici in fuga, ne fece una strage. »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LX, 30.1)

Nel 51 fu console per gli ultimi due mesi dell'anno,[14] poi fino a quando non ottenne il proconsolato,[11] Svetonio di lui disse che:

« [...] visse nell'ozio ed in disparte, temendo Agrippina, ancora potente presso il figlio Nerone e che odiava l'amico del defunto Narciso. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)

Nel 63 andò, infatti, come governatore in Africa proconsolare dove, secondo Tacito (II.97), il suo comportamento fu infame e odioso; secondo Svetonio, al contrario, il suo governo fu condotto con assoluta integrità e onore.[11] Certo è che la sua fama e visibilità a Roma, crebbe. Svetonio aggiunge:

« Tornò dall'Africa sicuramente non arricchito, poiché, esaurito ogni credito, dovette dare in pegno al fratello i suoi poderi per poi commerciare in cavalli, per sostenere le spese del proprio rango. Per questo motivo venne soprannominato dal popolo «il mulattiere». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)

Fu infatti in Grecia al seguito di Nerone. Svetonio ne racconta un episodio curioso:

« Durante il viaggio in Acaia al seguito di Nerone, mentre l'imperatore cantava, Vespasiano si allontanava troppo spesso o, se rimaneva ad ascoltare, si addormentava. Nerone, pertanto, grandemente offeso, gli aveva vietato di farsi vedere nel palazzo imperiale o nelle pubbliche udienze. Per questo motivo si ritirò in una vicina cittadina, fino a quando non gli venne offerto il governo provinciale ed il suo comando militare [...]. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)

Inizio della guerra giudaica (66-68)[modifica | modifica wikitesto]

L'antica provincia romana di Giudea al tempo della guerra contro i Romani ( 66- 70/ 74).
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Prima guerra giudaica.

Nel 66, quando Nerone venne informato della sconfitta subita in Giudea dal suo legatus Augusti pro praetore di Siria, Gaio Cestio Gallo, colto da grande angoscia e timore,[15] trovò che il solo Vespasiano sarebbe stato all'altezza del compito, e quindi capace di condurre una guerra tanto importante in modo vittorioso.[16]

« [Vespasiano] un uomo che era invecchiato nei comandi militari [...], il quale dopo aver pacificato l'Occidente sconvolto dai Germani, aveva contribuito ad assoggettare la Britannia [...], procurando al padre di Nerone, l'imperatore Claudio, di celebrare il trionfo su di essa, senza aver compiuto particolari e personali fatiche. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 1.2)
« Essendo necessario un forte esercito ed un valoroso comandante, per domare la rivolta giudaica, [...] fu scelto Vespasiano, sia per le dimostrazioni valorose date in passato, sia per l'umiltà del suo nome ed origini, che non oscuravano alcuno. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)

E così Vespasiano fu incaricato della conduzione della guerra in Giudea,[17] che minacciava di espandersi a tutto l'Oriente. Vespasiano, che si trovava in Grecia al seguito di Nerone, inviò il figlio Tito ad Alessandria d'Egitto per rilevare la legio XV Apollinaris, mentre egli stesso attraversava l'Ellesponto, raggiungendo la Siria via terra, dove concentrò le forze romane e numerosi contingenti ausiliari di re clienti (tra cui quelli di Erode Agrippa II)[18][19].

Ad Antiochia di Siria,[18] Vespasiano, concentrava e rafforzava l'esercito siriaco (legio X Fretensis), aggiungendo due legioni[11] (la legio V Macedonica e la legio XV Apollinaris, giunta dall'Egitto), otto ali di cavalleria e dieci coorti ausiliarie;[11] attendeva l'arrivo del figlio Tito, nominato suo vice (legatus);[11] acquisiva grande popolarità nelle vicine province orientali, per aver riportato con grande rapidità la disciplina nell'armata romana[11] e compiva due vittoriose imprese militari, assaltando una fortezza nemica (Iotapata), seppur rimanendo ferito ad un ginocchio[11] o ad un piede.[20]

Intanto i Giudei, esaltati dal successo conseguito su Cestio Gallo, raccolsero con grande rapidità tutte le loro forze meglio equipaggiate e mossero contro Ascalona, città distante circa 90 km da Gerusalemme. La spedizione era guidata da tre uomini di valore: Niger della Perea, Sila di Babilonia e Giovanni l'Esseno.[21] Ascalona era circondata da possenti mura, ma con poche truppe: si trattava di una sola coorte di fanteria e un'ala di cavalleria.[21] Ma ciò risultò sufficiente, poiché il comandante romano, Antonio, riuscì a mettere in fuga i nemici ed a ucciderne ben 18.000.[22] Secondo Svetonio e Giuseppe Flavio, una profezia:

« Si era diffusa in Oriente una vecchia credenza, secondo cui chi fosse giunto dalla Giudea in quel tempo, sarebbe divenuto padrone del mondo. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 4)
« Ciò che maggiormente incitò i Giudei alla guerra fu un'ambigua profezia, che si trovava nelle sacre scritture, secondo le quali in quel tempo uno che veniva dal loro paese sarebbe diventato il dominatore del mondo. Questa profezia la intesero come se riguardasse uno di loro, ma molti sapienti si sbagliarono ad interpretarla in questo modo, poiché la profezia in realtà si riferiva al dominio di Vespasiano, acclamato imperatore in Giudea. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VI, 5.4.312-313)

Applicando a sé stessi questa profezia, i Giudei si erano ribellati al governatore romano e lo avevano ucciso, sconfiggendo poi il governatore di Siria Gaio Cestio Gallo, giunto in soccorso del primo, e riuscendo anche a prendergli un'aquila legionaria.[11]

Giuseppe Flavio racconta che, dopo aver radunato le truppe, Vespasiano (inizi del 67) mosse da Antiochia alla volta della Tolemaide.[18] Gli vennero incontro gli abitanti di Zippori, la città più grande della Galilea, che si erano dimostrati fedeli anche a Cestio Gallo e che ricevettero, per questo motivo, nuovi armati romani a loro protezione (mille cavalieri e seimila fanti[23]), sotto il comando del tribunus militum Giulio Placido.[23] La città era infatti considerata di fondamentale importanza strategica, atta a vigilare l'intera regione.[18]

Svetonio aggiunge un episodio curioso di questi anni di guerra:

« In Giudea, mentre stava consultando l'oracolo del dio del Carmelo, le sorti gli confermarono che avrebbe ottenuto tutto ciò che voleva e aveva in animo, per quanto fosse grande; ed un nobile tra i prigionieri di nome Giuseppe (il famoso scrittore della Guerra giudaica), mentre veniva messo in catene, affermò che lo stesso Vespasiano lo avrebbe liberato, quando era ormai [divenuto] imperatore. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 5)
Ritratto di vespasiano da minturno, 69-79 dc..JPG Josephusbust.jpg
Busto di Vespasiano Busto di Giuseppe Flavio

Lo stesso Giuseppe afferma nella sua Guerra giudaica che, quando Vespasiano dispose di metterlo sotto custodia con ogni attenzione, volendo inviarlo subito dopo a Nerone,[24] Giuseppe dichiarò che aveva da fare un annuncio importate allo stesso Vespasiano, di persona ed a quattr'occhi. Quando il comandante romano ebbe allontanato tutti gli altri tranne il figlio Tito e due amici, Giuseppe gli parlò:[25]

« Tu credi, Vespasiano, di aver catturato soltanto un prigioniero, mentre io sono qui per annunciarti un grandioso futuro. Se non avessi avuto l'incarico da Dio, conoscevo bene quale sorte spettava a me in qualità di comandante, secondo la legge dei Giudei: la morte. Tu vorresti inviarmi da Nerone? Per quale motivo? Quanto dureranno ancora Nerone ed i suoi successori, prima di te? Tu, o Vespasiano, sarai Cesare e imperatore, tu e tuo figlio. Fammi pure legare ancor più forte, ma custodiscimi per te stesso. [...] e ti chiedo di essere punito con una prigionia ancor più rigorosa se sto mentendo, davanti a Dio. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 8.9.400-402)

Sul momento Vespasiano rimase incredulo, pensando che Giuseppe lo stesse adulando per aver salva la vita, ma poi, sapendo che anche in altre circostanze Giuseppe aveva fatto predizioni esatte, fu indotto a ritenere che ciò che gli aveva annunciato fosse vero, avendo egli stesso in passato pensato al potere imperiale e ricevendo altri segnali che gli presagivano il principato. Alla fine non mise in libertà Giuseppe, ma gli donò una veste ed altri oggetti di pregio, trattandolo con ogni riguardo anche per le simpatie del figlio Tito.[25]

Dopo un primo ed intenso anno di guerra in Giudea, che aveva visto Vespasiano, sottomettere tutti i territori giudaici a parte quelli intorno alla capitale Gerusalemme, dove peraltro era in corso una guerra civile tra la fazione degli Zeloti e coloro che stavano dalla parte dei sommi sacerdoti, il comandante romano si stava preparando ad attaccare Gerusalemme da ogni parte.[26] Quando, però, giunse la notizia che Nerone si era tolto la vita, dopo un regno di tredici anni, otto mesi e otto giorni,[27] Vespasiano preferì rinviare la marcia su Gerusalemme, aspettando di sapere chi fosse stato acclamato imperatore. Appreso che era stato eletto Galba, preferì rimanere a Cesarea, in attesa di ricevere istruzioni sulla guerra.

Decise così di inviare il proprio figlio, Tito, per rendergli omaggio e per farsi dare disposizioni sulla guerra in Giudea. Accompagnava Tito, il re Agrippa. E mentre questi stavano attraversando per via di terra l'Acaia, giunse la notizia dell'uccisione di Galba (dopo soli sette mesi e sette giorni di regno), e dell'acclamazione a imperatore del suo rivale Otone. E se Agrippa decise di proseguire per Roma, senza preoccuparsi del cambiamento intervenuto, Tito, per una divina ispirazione, tornò in Siria, raggiungendo il padre a Cesarea. Non sapendo come comportarsi, visto lo scoppio della guerra civile, preferirono sospendere le operazioni militari contro i Giudei, in attesa di conoscere quali sarebbero stati gli sviluppi a Roma.[27]

Ascesa al trono: anno dei quattro imperatori (69)[modifica | modifica wikitesto]

Stockholm - Antikengalerie 4 - Büste Kaiser Galba.jpg Otone scontornato png.png
Busto di Galba Busto di Otone
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile romana (68-69).

Lo scoppio della guerra civile in seguito alla morte di Nerone (giugno del 68) vide l'elezione di quattro imperatori in varie parti dell'Impero romano nel giro di poco più di un anno: il primo fu Galba in Spagna,[1] cui successero Otone, acclamato dalla guardia pretoriana,[1] Vitellio, sostenuto dalle legioni germaniche[1] ed infine Vespasiano, proclamato da quelle orientali e danubiane.[1]

Nomina ad Imperator[modifica | modifica wikitesto]

Svetonio

Secondo Svetonio, Vespasiano, impegnato dal 67 nella repressione della rivolta giudea, nel 69 fu designato imperatore contro il regnante Vitellio dalle sue stesse legioni, non prima però di aver ricevuto l'approvazione delle armate della Mesia, che a quel tempo erano sotto il comando di Antonio Primo:

Tito Flavio Vespasiano
« Sebbene le sue truppe fossero già pronte a seguirlo e, al contrario, insistessero molto, [Vespasiano] non fece alcun tentativo prima di esservi spinto da un segno occasionale di simpatia che gli diedero dei soldati lontani e sconosciuti. Duemila uomini per ciascuna delle tre legioni di Mesia erano stati inviati in aiuto di Otone, ma appena postisi in marcia, avevano saputo della sconfitta e della morte del loro princeps. Ad ogni modo avevano deciso di proseguire fino a Aquileia, incuranti di questa notizia. Qui, approfittando della situazione, si erano abbandonati ad ogni genere di rapina e saccheggi. Temendo, pertanto, di doverne poi pagare le conseguenze, decisero di nominare un loro imperatore [...]. Quindi, dopo aver preso in considerazione tutti i nomi dei legati consolari, ovunque essi fossero, e dopo averne scartati numerosi, alcuni soldati della legio III, che all'epoca della morte di Nerone era stata trasferita dalla Sirie in Mesia, fecero l'elogio di Vespasiano, tanto che tutti aderirono e scrissero il suo nome sui vessilli rapidamente. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 6)

Svetonio aggiunge che, se questa prima insurrezione venne inizialmente placata e le truppe ricondotte al loro dovere, generò grande fermento in tutto l'Impero, tanto che il prefetto d'Egitto, Tiberio Alessandro, per primo, indusse le sue legioni a prestare giuramento nei confronti di Vespasiano il 1º luglio (mentre quest'ultimo si trovava a Cesarea),[1] che in seguito venne considerato come il primo giorno del suo principato. L'11 luglio era la volta dell'esercito di Giudea a prestare giuramento davanti allo stesso Vespasiano.[1] Trovò, inoltre, un valido aiuto militare da parte di Gaio Licinio Muciano, governatore della Siria ed un'alleanza inaspettata dal re dei Parti, che gli mise a disposizione ben 40.000 arcieri.[1] In oriente tutti guardavano a lui. Svetonio aggiunge:

« Di grande aiuto gli fu in questa impresa la divulgazione di una lettera, vera o falsa che fosse, del defunto Otone, nella quale egli lo supplicava e gli affidava l'incarico di vendicarlo e soccorrere la Res publica. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 6.)
Tacito

Tacito scrive che Vespasiano, sebbene avesse già giurato con l'esercito per Vitellio, stesse considerando le proprie forze. Rifletteva sul fatto che aveva ben 60 anni e due giovani figli, e che gli eserciti che avrebbe dovuto affrontare erano vittoriosi, mentre i propri erano estranei alla guerra civile o perdenti; inoltre immischiandosi in quei giochi di potere c'era da temere un assassinio, come era successo di recente con Scriboniano. Muciano invece lo incitava pubblicamente ricordandogli di avere 9 legioni pronte a servirlo ed esercitate nella guerra Giudaica mentre il nemico ne aveva di infiacchite dai vizi e riflette che le legioni che hanno perso sono spesso le più valorose. Dopo il discorso poi pensano a convincere Vespasiano aruspici ed indovini, in quanto egli era superstizioso: fra i prodigi c'era quello che riguardava un altissimo cipresso nel suo podere che un giorno cadde improvvisamente per poi risorgere nello stesso punto il giorno successivo ancora più frondoso.[28]

L'iniziativa di nominarlo imperatore partì da Alessandria d'Egitto per la fretta di Tiberio Alessandro, prefetto d'Egitto, il primo di luglio (mentre quest'ultimo si trovava a Cesarea).[1] Questa data venne consacrata come il primo giorno del principato di Vespasiano[29] sebbene le legioni che comandava in Giudea avessero prestato giuramento solo due giorni dopo (secondo Svetonio invece questo avvenne l'11 luglio,[1] forse perché vi fu confusione fra l'esercito di Siria e quello di Giudea[30]), quando pochi soldati, mentre gli altri aspettavano che qualcuno facesse la prima mossa, lo attesero fuori dalla sua tenda come di consueto, ma invece di salutarlo come legato lo acclamarono imperatore. Così tutti gli altri soldati si unirono ad adularlo, ma da parte sua non vi fu vanagloria o arroganza, e dopo che ebbero prestato giuramento, tenne un discorso nel teatro di Antiochia. Giurarono per Vespasiano tutta la Siria, il re Soemio, il re Antioco, il re Erode Agrippa II, sua sorella, le province bagnate dal mare dall’Asia all’Acaia e quelle che si estendevano all’interno verso il Ponto e l’Armenia.[31]

Giuseppe Flavio

Giuseppe Flavio spiega che, Vespasiano tornato a Cesarea, dopo aver devastato la regione vicina a Gerusalemme (maggio del 69), ricevette la notizia della caotica situazione a Roma e dell'acclamazione a imperatore di Vitellio. E sebbene Vespasiano fosse bravo sia nell'ubbidire, sia nel comandare, rimase indignato per come Vitellio si era impossessato del potere a Roma. Afflitto da tanti e tali pensieri sul da farsi, non riusciva a pensare alla guerra che stava conducendo contro i Giudei.[32] Gli ufficiali, inoltre, lo incitavano a prendere il potere ed accettare l'acclamazione ad imperatore, sostenendo che:[33]

« Se per governare era necessaria l'esperienza degli anni, questa si trovava in Vespasiano padre, se il vigore della giovinezza, questa si trovava nel figlio Tito, sommandosi così i pregi dell'età di entrambi. Ai nuovi eletti ci sarebbero state come sostegno, non soltanto i soldati di tre legioni insieme alle truppe alleate dei re, ma anche quelle di tutto l'Oriente, oltre alle province europee, abbastanza lontane da non temere Vitellio, gli alleati in Italia, un fratello di Vespasiano (Tito Flavio Sabino) e un altro figlio (Domiziano). »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.3.597-598.)

I soldati si radunarono tutti insieme e, facendosi coraggio l'un l'altro, acclamarono Vespasiano loro imperatore, pregandolo di salvare la Res publica. Al suo iniziale rifiuto, come ci racconta Giuseppe Flavio, sembra che anche i generali cominciassero ad insistere, mentre i soldati gli si avvicinavano con le spade in pugno, quasi lo stringessero d'assedio, cominciarono a minacciare di ucciderlo qualora non avesse accettato. E se Vespasiano, in un primo momento, espose le sue ragioni che lo inducevano a rifiutare la porpora imperiale, alla fine non riuscendo a convincerli, accettò l'acclamazione ad imperator.[34]

« E poiché Gaio Licinio Muciano ed altri generali sollecitavano affinché [Vespasiano] esercitasse il potere come princeps, anche l'esercito lo incitava ad essere condotto a combattere qualunque rivale. Vespasiano, allora per prima cosa, rivolse la sua attenzione ad Alessandria, poiché sapeva che l'Egitto costituiva una delle regioni più importanti dell'impero per l'approvvigionamento del grano, credette che, assicuratosene il controllo, avrebbe costretto Vitellio ad arrendersi, poiché la popolazione di Roma avrebbe patito la fame. Mirava, inoltre, ad avere come sue alleate le due legioni presenti ad Alessandria, ed a fare di quella provincia un baluardo contro la cattiva sorte. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.5.605-607.)

Vespasiano decise così di scrivere a Tiberio Alessandro, governatore dell'Egitto e di Alessandria, informandolo di essere stato acclamato imperator dalle truppe in Giudea e che contava sulla sua collaborazione ed aiuto. Alessandro, allora, dopo aver dato pubblica lettura al messaggio di Vespasiano, chiese che le legioni e il popolo giurassero fedeltà al nuovo imperatore. In seguito Alessandro si dedicò ai preparativi per accogliere Vespasiano, mentre la notizia si diffondeva in tutto l'Oriente romano ed ogni città festeggiava la lieta notizia, compiendo sacrifici per il nuovo imperatore.[29]

Ancora Giuseppe Flavio racconta che quando Vespasiano si trasferì a Berito da Cesarea Marittima, venne raggiunto da numerose ambascerie provenienti dalla provincia di Siria e dalle altre province orientali che gli recavano doni e decreti gratulatori. Giunse anche Muciano, governatore di Siria, a tributargli il suo appoggio e giuramento di fedeltà, insieme a quello dell'intera popolazione provinciale.[29] Anche le legioni di Mesia e Pannonia, che già da tempo avevano dato segni di insofferenza al potere di Vitellio, giurarono con grande entusiasmo la loro fedeltà a Vespasiano.[29]

Guerra contro Vitellio[modifica | modifica wikitesto]

Il nuovo imperatore, dopo aver assegnato i vari comandi nelle province orientali a lui fedeli e congedato le ambascerie, si trasferì ad Antiochia di Siria, dove si consigliò con i più fidati collaboratori sul da farsi, ritenendo che fosse importante raggiungere Roma prima possibile. Fu così che, una volta affidato un forte contingente di cavalleria e fanteria a Muciano (governatore di Siria), lo inviò in Italia via terra, attraverso Cappadocia e Frigia, poiché la stagione invernale non permetteva un tragitto via mare, considerato l'elevato rischio di naufragio.[35] Contemporaneamente anche Antonio Primo, al comando della Legio III Gallica di stanza nella Mesia, di cui egli era a quel tempo governatore, si dirigeva in Italia per affrontare le armate di Vitellio.[36]

Iniziata dunque la guerra civile, si trasferì da Antiochia ad Alessandria d'Egitto, per controllare anche questa provincia.[37] Raccontano Tacito e Svetonio che durante il suo soggiorno in Egitto si rese protagonista di due "miracoli", ovvero di aver curato gli occhi di un cieco sputandoci sopra e la gamba di uno zoppo toccandogliela con il proprio calcagno (entrambi avevano supplicato il "tocco divino" dell'imperatore come Serapide aveva loro suggerito in sogno). In realtà i suoi medici gli avevano già suggerito che le piaghe potevano essere guarite, quindi il suo gesto, in caso di successo, gli avrebbe portato molta notorietà in quelle terre, e che in caso di insuccesso nulla sarebbe cambiato.[37]

Le sue truppe entrarono in Italia nord orientale sotto il comando di Antonio Primo e sconfissero l'esercito di Vitellio nella seconda battaglia di Bedriaco,[37] saccheggiando quindi Cremona[38] ed avanzando su Roma, per poi attestarsi a Otricoli in attesa di rinforzi dalla Siria. Vitellio, che nel frattempo era rientrato a Roma, cercò a questo punto di prendere tempo e di accordarsi con il fratello del suo rivale, Flavio Sabino, promettendogli di abdicare e cento milioni di sesterzi per aver salva la vita (18 dicembre del 69),[39] nascondendo la notizia della sua disfatta.

« Dopo essere stato sconfitto in battaglia, fattosi promettere di aver salva la vita dal fratello di Vespasiano, Flavio Sabino, consegnandogli cento milioni di sesterzi, si presentò sulla gradinata del palazzo imperiale per dichiarare ad una folla di soldati che abdicava all'impero, che lo aveva assunto contro la propria volontà. E poiché tutti protestavano e gridavano, rinviò la decisione e trascorse una notte. Alle prime luci dell'alba, discese ai rostri, vestito a lutto, e piangente ripeté lo stesso discorso, questa volta leggendo il tutto da uno scritto. »
(Svetonio, Vita di Vitellio, 15)
Ritratto di Vitellio, rivale di Vespasiano per la porpora imperiale.

Poiché gran parte dei soldati (quelli delle legioni germaniche[40]) e del popolo si opponevano a che abbandonasse il potere, esortandolo a non perdersi d'animo, si riprese ed attaccò Flavio Sabino ed i suoi partigiani, costringendoli a difendersi sul Campidoglio,[27] dove nel corso dello scontro il Tempio di Giove Ottimo Massimo fu dato alle fiamme ed i soldati saccheggiarono i doni votivi,[40] mentre buona parte dei partigiani dei Flavi perse la vita.[39]

« [...] dopo avere dato alle fiamme il tempio di Giove Ottimo Massimo, li distrusse, assistendo sia al combattimento sia all'incendio mentre banchettava nella Domus Tiberiana. »
(Svetonio, vita di Vitellio, 15.)

Il giovane figlio di Vespasiano, Domiziano, che era con lo zio, riuscì a scampare alla strage, travestendosi da sacerdote di Iside, e si nascose nella casa al Velabro di Cornelio Primo, un cliente di suo padre.[41] Poco dopo, Vitellio, pentito di quanto aveva commesso e dandone la colpa ad altri.[39] Convinse, quindi, il Senato ad inviare ambasciatori, insieme a delle vergini Vestali, per chiedere la pace, o comunque una tregua. Il giorno seguente, un esploratore lo informò che reparti di Vespasiano si stavano avvicinando. Tormentato se scappare in Campania o rimanere a Roma, preferì rientrare a palazzo, «come se avesse ottenuto la pace».[42]

« [A palazzo] trovandolo deserto ed essendo scomparsi tutti coloro che lo avevano accompagnato, dopo essersi passato attorno alla vita una cintura piena di monete d'oro, si nascose nello sgabuzzino vicino all'entrata, legando il cane davanti alla porta che aveva barricato con una branda ed un materasso. »
(Svetonio, Vita di Vitellio, 16)

Le truppe di Antonio Primo, una volta trovatolo nei palazzi imperiali, seppur non avendolo riconosciuto inizialmente, poiché ubriaco e rimpinzato di cibo più del solito, avendo compreso che la fine era ormai vicina,[40] lo condussero nel Foro romano.[42] Qui attraverso l'intera via Sacra, con le mani legate, un laccio al collo e la veste strappata, lungo l'intero percorso, Vitellio venne fatto oggetto di ogni ludibrio a gesti e con parole, mentre era condotto con una punta di spada al mento e la testa tenuta indietro per i capelli, come si fa con i criminali.[40][42] Alla fine venne scannato per le vie di Roma, dopo otto mesi e cinque giorni di regno:[40]

« Qualcuno gli gettava addosso dello sterco e del fango, altri lo insultavano chiamandolo «porco» e «incendiario». Una parte del popolino ne metteva in risalto i difetti fisici. Era infatti molto grasso, rubizzo in volto per il troppo vino, con una grande pancia ed una gamba malandata, da quando era stato investito da una quadriga mentre assisteva Caligola nelle corse dei carri. Finalmente presso le Scale Gemonie, scarnificato con minutissimi colpi, fu ucciso e trascinato con l'uncino nel Tevere. »
(Svetonio, Vita di Vitellio, 16.)

Il 21 dicembre, il giorno dopo l'ingresso delle truppe di Antonio Primo in Roma, e l'uccisione di Vitellio il Senato proclamò Vespasiano imperatore e console con il figlio Tito, mentre il secondogenito Domiziano veniva eletto pretore con potere consolare.[43] Il 22 dicembre anche Muciano raggiunse Roma, entrando in città al comando delle sue truppe e mettendo fine alle stragi che si stavano perpetrando dagli uomini di Antonio, alla ricerca dei soldati di Vitellio e di quei cittadini che si erano schierati dalla sua parte. Si contarono più di cinquantamila morti dopo questi scontri.[40] Muciano accompagnò, quindi, Domiziano nel Foro romano e lo raccomandò al popolo romano come Cesare e reggente fino all'arrivo del padre dall'Oriente, mentre il giovane principe pronunciò loro un discorso.[44]

Il popolo allora, finalmente libero da Vitellio e dai vitelliani, acclamò Vespasiano imperatore, celebrando l'inizio di un nuovo principato e la fine di Vitellio.[40] Frattanto Vespasiano, che era giunto ad Alessandria d'Egitto, fu raggiunto dalla notizia che Vitellio era morto e che il popolo di Roma lo aveva proclamato imperatore (fine dicembre del 69).[37][40] Giunsero, quindi, numerose ambascerie a congratularsi con lui da ogni parte del mondo, ora era diventato suo. Vespasiano, ansioso di salpare per la capitale non appena fosse terminato l'inverno, spedì il figlio Tito con ingenti forze a conquistare Gerusalemme e porre fine alla guerra in Giudea.[45]

Principato (69-79)[modifica | modifica wikitesto]

E mentre Tito stringeva d'assedio Gerusalemme, Vespasiano si imbarcò ad Alessandria su una nave da carico, per poi approdare all'isola di Rodi; da qui continuò il viaggio su triremi ricevendo accoglienze festose in qualunque città egli decidesse di fermarsi lungo il percorso. Dalla Ionia, infine, passò in Grecia, poi all'isola di Corcira e da qui al promontorio Iapigio, da dove proseguì via terra per la capitale.[46] Giuseppe Flavio racconta che Vespasiano fu accolto festosamente in tutte le città d'Italia, ma soprattutto a Roma dove ricevette accoglienze entusiastiche sia da parte del popolo che delle più importanti personalità cittadine, provandone una grandissima soddisfazione.[47]

« Il senato, a conoscenza dei tragici eventi che avevano portato ad un continuo cambiamento di imperatori, premeva affinché ci fosse un princeps di età matura e ricoperto di gloria militare, la cui aura sarebbe stata utile ad assicurare la pace ai cittadini romani. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 4.1.65.)
« Quando giunse la notizia che era vicino [...], tutto il resto della popolazione, insieme a mogli e figli, lo attesero lungo i margini della strada e, quando passava [...], tutti lanciavano ogni genere di grida festose, acclamandolo benefattore, salvatore e unico signore degno di [governare] Roma. Tutta la città era piena di corone e incensi come un tempio. Con grande fatica, a causa della folla strabocchevole che gli era venuta incontro, riuscì ad entrare a palazzo, dove celebrò i dovuti sacrifici di ringraziamento alle divinità domestiche per essere tornato. Frattanto il popolo iniziava i festeggiamenti, banchettando diviso per tribù, per gentes e per clientes, ingraziandosi gli déi con sacrifici, affinché mantenesse Vespasiano a capo dell'impero romano il più a lungo possibile, e che conservasse il potere per i suoi figli ed i loro discendenti. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 4.1.70-73.)

Giunto così a Roma[48] nella primavera del 70, Vespasiano dedicò fin dall'inizio ogni sua energia a riparare i danni causati dalla guerra civile. Restaurò la disciplina nell'esercito che sotto Vitellio era stata piuttosto trascurata, e con la cooperazione del senato, riportò il governo e le finanze su solide basi.

« I soldati, quelli imbaldanziti dalla vittoria conseguita e gli sconfitti perché addolorati, si erano abbandonati ad ogni tipo di licenza; alcune province e città, persino alcuni regni, si combattevano tra loro. [Vespasiano] allora congedò la maggior parte dei soldati di Vitellio e li costrinse [alla disciplina]; riguardo a quelli che avevano partecipato alla vittoria, non solo non distribuì alcun premio straordinario, ma pagò in ritardo quelli legittimi. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 8)

Amministrazione finanziaria[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Fiscus iudaicus.

Chiese l'esazione delle imposte non pagate sotto Galba, introducendone poi di nuove e ancora più gravose[49] (fra le quali il fiscus iudaicus[50] e quella sui vespasiani); aumentò i tributi delle province, anche raddoppiandoli in alcuni casi;[49] ebbe nel complesso un occhio attento sulle finanze pubbliche. Sembra infatti che la sua sia stata, in realtà, una illuminata economia, che, nello stato disordinato delle finanze di Roma, era una necessità assoluta a causa dell'immensa povertà in cui versava sia il fiscus sia l'aerarium.[49]

« Appena assunto il principato aveva affermato: «Perché la Res publica possa sopravvivere sono necessari quaranta milioni di sesterzi». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 16)

Un celebre aneddoto riferisce che egli mise una tassa sugli orinatoi (gabinetti pubblici, che da allora vengono chiamati anche vespasiani). Rimproverato dal figlio Tito, che riteneva la cosa sconveniente, gli mise sotto il naso il primo danaro ricavato, chiedendogli se l'odore gli dava fastidio («Pecunia non olet» ovvero «il denaro non ha odore», quale che ne sia la provenienza); e dopo che questi gli rispose di no, aggiunse «eppure proviene dall'orina».[51] Attraverso l'esempio della sua semplicità di vita, mise alla gogna il lusso e la stravaganza dei nobili romani e iniziò sotto molti aspetti un marcato miglioramento del tono generale della società.

Amministrazione interna[modifica | modifica wikitesto]

Riforma di Senato, ordine equestre e guardia pretoriana
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Ordine senatorio, ordine equestre e guardia pretoriana.

Uno dei provvedimenti maggiormente importanti di Vespasiano fu la promulgazione della lex de imperio Vespasiani, in seguito alla quale egli e gli imperatori successivi governeranno in base alla legittimazione giuridica e non più in base a poteri divini come avevano fatto i Giulio-Claudii. Questo provvedimento può essere riassunto in due formule: «il principe è svincolato dalle leggi» (princeps a legibus solutus est); «quanto piace al principe ha vigore di legge» (quod placuit principi legis habet vigorem).

Come censore[48] (nel 73[52]) riformò il Senato e l'ordine equestre, rimuovendone i membri inadatti e indegni e promuovendo uomini abili e onesti, sia tra gli Italici sia tra i provinciali,[53] quali Gneo Giulio Agricola.[54] Allo stesso tempo, rese questi organismi più dipendenti dall'imperatore, esercitando la sua influenza sulla loro composizione. Diede una pensione di cinquecentomila sesterzi all'anno ai consolari poveri.[55] Svetonio aggiunge:

« E perché fosse noto a tutti che i due ordini non differiva tra loro per libertà, ma solo come dignità, in una diatriba tra un cavaliere ed un senatore, emanando una sentenza, disse che «non era opportuno insultare i senatori, ma era doveroso ribattere ad un insulto». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 9)

Cambiò lo statuto della guardia pretoriana, formata da nove coorti in cui, per aumentarne la fedeltà, furono arruolati solo italici.

Riforma giudiziaria
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Diritto romano.

Gli elenchi dei processi si erano allungati in modo esponenziale, poiché alle precedenti liti ancora pendenti, soprattutto a causa dell'interruzione dovuta alla precedente guerra civile, se ne erano aggiunte di nuove.[56] Vespasiano allora sorteggiò alcuni giudici per restituire i beni trafugati durante la guerra civile e dirimere, con giustizia straordinaria, e ridurre ai minimi termini tutte le vertenze di competenza dei centumviri, poiché in alternativa non sarebbe bastata una vita ai litiganti per trovare una soluzione.[56]

E poiché la lussuria e la libidine si erano largamente diffusi in questo periodo, fece decretare dal Senato che ogni donna libera, che si fosse concessa ad uno schiavo di altri, venisse considerata anch'essa una schiava;[57] che gli usurai, quando avessero concesso un prestito ad un figlio di famiglia, non potessero esigerne la restituzione neppure dopo la morte del padre.[57]

Politica sociale e opere pubbliche[modifica | modifica wikitesto]

Il Colosseo a Roma.
Foro della Pace iniziato da Vespasiano nel 74.
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Arte flavia, Colosseo e foro della Pace.

Spesso Vespasiano offriva banchetti sontuosi (epulae) per far guadagnare i macellai. In occasione dei Saturnalia offriva doni agli uomini, alle calende di marzo alle donne (1º marzo, vedi festività romane).[58] Nel 73 Vespasiano e Tito rivestirono una magistratura repubblicana ormai quasi dimenticata, la censura, con l'obiettivo di ampliare il pomerium, ovvero il confine sacro della città, e iniziare una generale ristrutturazione urbanistica.

« Essendo la città di Roma deturpata da rovine e da antichi incendi, acconsentì a chiunque di costruire nelle aree vuote, qualora i proprietari non lo avessero fatto prima »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 8)

Molto danaro fu speso in lavori pubblici e in restauri e abbellimenti di Roma:

Vespasiano, infine, fece potenziare e manutenere i più importanti tratti viari della penisola e in particolare le vie Appia, Salaria e Flaminia. Ci è noto anche che la statua colossale di Nerone, che era situata nel vestibolo della Domus Aurea, in summa sacra via.[62]... Il successivo incendio della Domus Aurea danneggiò il monumento che fu restaurato da Vespasiano, il quale lo convertì in una rappresentazione del dio Sole.[63]

Impulsi culturali[modifica | modifica wikitesto]

Ritratto di Vespasiano, ritratto onorario dopo la morte ( Museo delle Terme, Roma).
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (69 - 117).

Vespasiano fu generoso verso senatori e cavalieri impoveriti,[55] verso moltissime città devastate da terremoti o incendi,[55] favorendo anche gli ingegni e le arti.[55] Egli fu, infatti, il primo imperatore a stanziare una somma di centomila sesterzi all'anno a favore di retori greci e latini, a spese del fiscus.[64] Versò numerosi congiaria ai poeti più importanti, ai migliori artigiani, come quello che restaurò la Venere di Coo e il Colosso di Nerone.[64] Altri ricevettero un vitalizio di più di mille pezzi d'oro all'anno. Si dice che Marco Fabio Quintiliano fosse il primo pubblico insegnante a godere del favore imperiale. Svetonio racconta che:

« Ad un ingegnere che gli aveva proposto di trasportare con una cifra contenuta delle grandi colonne sul Campidoglio (per restaurarlo, dopo l'incendio del 69), versò un buon premio per il progetto, ma non lasciò che lo eseguisse, dicendogli: «Permetti che dia da mangiare al popolino». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 18)
« Per gli spettacoli con cui aveva inaugurato il teatro di Marcello, riconvocò antichi lettori. Al tragico Apellaride donò quattrocentomila sesterzi, duecentomila ai citaredi Terpno e Diodoro, centomila ad altri, a nessuno meno di quarantamila, oltre a numerose corone d'oro e premi. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 19)

Vi è altresì da aggiungere che i maestri della filosofia stoica e scettica, attivi in Roma, erano stati perseguitati per la loro opposizione al regime di Vespasiano. Ostilio e Demetrio erano stati mandati in esilio ed Elvidio Prisco, che si era rifiutato di riconoscere Vespasiano quale imperatore, fu messo a morte.[65] Il potere imperiale considerava intollerabile la loro indipendenza di giudizio e se essi generalmente non erano politicamente attivi, erano però moralmente autorevoli e le loro critiche erano tanto più pericolose in quanto venivano diffuse pubblicamente tra i loro allievi.

La grande opera di Plinio il Vecchio, Naturalis historia, fu scritta durante il regno di Vespasiano e dedicata a suo figlio Tito. Alcuni filosofi, avendo parlato con rimpianto dei tempi d'oro della Repubblica, e quindi indirettamente incoraggiato cospirazioni, indussero Vespasiano a rimettere in vigore le leggi penali contro questa professione ormai obsoleta; solo uno di essi, Elvidio Prisco, fu messo a morte, perché aveva affrontato l'imperatore con insulti studiati. "Non ucciderò un cane che mi abbaia contro", sono parole che esprimono il carattere di Vespasiano.

Organizzazione dell'esercito[modifica | modifica wikitesto]

Il mondo romano dopo la morte di Vespasiano e la relativa dislocazione delle legioni romane.
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Esercito romano e dislocazione delle legioni romane.

Con Vespasiano, venne ripristinata l'antica disciplina militare, ma soprattutto si preoccupò di evitare che l'eccessivo lealismo/devozione delle legioni ai propri comandanti potesse generare una nuova guerra civile. La caduta di Nerone era seguita da una lotta che aveva, non solo portato distruzione nella penisola italica e dissanguato le casse dello stato, ma aveva coinvolto numerosi eserciti (da quello renano, a quello danubiano ed orientale). Fu necessario porre rimedio a ciò attraverso una nuova serie di riforme, che completasse quanto era già stato fatto durante la dinastia giulio-claudia:

  • al termine della guerra civile e della rivolta dei Batavi, sciolse ben quattro legioni che avevano trascinato nel fango le proprie insegne macchiandosi di disonore (I Germanica, IV Macedonica, XV Primigenia e XVI Gallica[66]) e ne riformò tre nuove (II Adiutrix Pia Fidelis,[67] IV Flavia Felix,[66] e XVI Flavia Firma[66]) dando la possibilità ad alcuni di fare pubblica ammenda;
  • avendo trovato le casse dell'aerarium militare pressoché vuote, mise in atto tutta una serie di azioni per ripristinare la precedente situazione finanziaria alla guerra civile;
  • data inoltre la crescente scarsità di reclute (cosa che da tempo rappresentava un problema insanabile) decise di aumentare l'impiego di truppe ausiliarie provinciali (raddoppiando in molte unità il numero degli effettivi, passando da 500 a 1.000 armati, ovvero trasformandole da quingenariae a milliariae), facendo in modo che le generazioni future avessero un numero maggiore di potenziali cittadini romani da arruolare nelle legioni.[68] Di contro si andava a creare una vera e propria rarefazione dell'elemento italico a vantaggio di quello provinciale, pur non producendo mutamenti sostanziali nel valore militare complessivo;[69]
  • al fine di aumentare la capacità difensiva dei confini imperiali per tutta la loro lunghezza (oltre 9.500 km terrestri), dispose di ricostruire numerose fortezze legionarie in pietra ed in posizioni strategicamente migliori, in modo da non trascurare la sicurezza delle legioni ivi acquartierate;[70]
  • non trascurò il fatto che le truppe di confine, quando rimanevano inattive per troppo tempo, in un ambiente ospitale (soprattutto in Oriente), perdevano la loro capacità di combattere. Queste truppe, non avendo infatti una prospettiva immediata di guerra o di bottino, rischiavano di perdere la proverbiale disciplina e deteriorarsi. Solo un allenamento costante poteva preservare le capacità di combattimento, anche in tempo di pace, ben sapendo che dai primi accampamenti "rurali" (circondati dalle sole campagne) si era ormai passati a fortezze che andavano sempre più acquisendo una tipica atmosfera urbana (canabae);[71]
  • tornò all'ordinamento augusteo, riducendo le coorti pretoriane a 9, ed ancora una volta quingenarie,[72] le quali furono aumentate poi dal figlio Domiziano fino a 10.[73]
  • La riforma della prima coorte potrebbe essere avvenuta all'epoca di Augusto o forse al tempo dei Flavi.[74] Si trattava di una coorte milliare, vale a dire di dimensioni doppie rispetto alle altre nove coorti, con 5 manipoli (non quindi 6) di 160 armati ciascuna (pari a 800 legionari), a cui era affidata l'aquila della legione.[74] Primo esempio di costruzioni che ne ospitassero una coorte di queste dimensioni la troviamo nella fortezza legionaria di Inchtuthill in Scozia.[75]

Politica estera e provinciale[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Limes romano, province romane e regno cliente (storia romana).

Ridusse a province l'Acaia, la Licia, Rodi, Bisanzio e Samo, togliendo loro la libertà, e fece lo stesso con la Cilicia Trachea e la Commagene,[76][77] che fino ad allora erano state governate da re.[48]

In Oriente[modifica | modifica wikitesto]
Vespasiano e Tito durante la cerimonia del trionfo ( Alma Tadema, 1885).
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Limes orientale e prima guerra giudaica.

La prima guerra giudaica, fu la prima delle tre importanti ribellioni degli Ebrei della provincia Giudea contro il potere imperiale.[78] La provincia era da tempo una regione turbolenta con aspre violenze tra varie sette giudaiche in competizione[78] e con una lunga storia di ribellioni.[79] La collera degli Ebrei verso Roma era alimentata dai furti nei loro templi e dall'insensibilità romana – Tacito parla di disgusto e repulsione[80] – verso la loro religione. Gli ebrei iniziarono i preparativi per la rivolta armata. I primi successi, compreso il respinto primo assedio di Gerusalemme,[81] e la battaglia di Beth Horon[81] non fecero che sollecitare maggiore attenzione da Roma, dove Nerone incaricò il generale Vespasiano di spegnere la rivolta.

Vespasiano guidò le sue forze in una pulizia etnica delle aree in rivolta. Con l'anno 68, la resistenza ebraica nel nord era stata soffocata. La guerra in Giudea fu conclusa da Tito con la conquista di Gerusalemme nel 70. Sesto Giulio Frontino ricorda che l'ultimo baluardo difensivo dei Giudei fu sconfitto durante la festività ebraica della Shabbat.[82] Contemporaneamente, in Oriente, veniva sedata nel sangue dal figlio Tito una difficile rivolta in Giudea, al termine della quale fu conquistata Gerusalemme (nel 70).

La distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70, da un dipinto di Francesco Hayez conservato a Venezia.

In seguito a questi eventi due legioni furono trasferite lungo il fiume Eufrate in Cappadocia (la XII Fulminata e la XVI Flavia Firma).[48] Le ultime resistenze si opposero a Roma ancora per qualche anno, prima di cadere, portando all'assedio di Masada del 73[83][84] e al secondo assedio di Gerusalemme.[85]

Il figlio Tito, dopo aver portato a termine il difficile assedio di Gerusalemme, si imbarcò per l'Italia (inizi del 71), disponendo che i due capi della rivolta, Simone e Giovanni, insieme ad altri 700 prigionieri, scelti per statura e prestanza fisica, fossero inviati a Roma per essere trascinati in catene in trionfo. Giunto nella capitale, gli venne riservata un'accoglienza entusiasta da parte della folla cittadina. Pochi giorni più tardi, il padre Vespasiano accettò di celebrare un unico trionfo, sebbene il senato ne avesse decretato uno per ciascuno. Una volta avvisata circa la data della cerimonia trionfale, l'immensa popolazione di Roma uscì a prendere posto dovunque si potesse stare, lasciando libero solo il passaggio per far sfilare il corteo.[86]

Negli anni seguenti, dopo il trionfo congiunto di Vespasiano e Tito sui Giudei,[48] memorabile come prima occasione in cui padre e figlio furono associati nel trionfo,[87] il Tempio di Giano fu chiuso, e il mondo romano fu in pace per i restanti nove anni del regno di Vespasiano. La pace di Vespasiano divenne proverbiale. Distrutto, quindi, il tempio di Gerusalemme e dispersa la popolazione, gli ebrei non furono altrimenti perseguitati sotto Vespasiano e Tito. Lo stesso re Agrippa II e le sorelle Berenice e Drusilla vivevano a Roma, intimi dei Flavi,[88] e una colonia di ebrei viveva nella capitale libera di praticare la propria religione, salvo essere tenuti a pagare il fiscus iudaicus.[50]

A partire dal 71 Vespasiano, infatti, ordinò all'allora legatus Augusti pro praetore Sesto Lucilio Basso e al procurator Augusti Laberio Massimo di assoggettare tutto il territorio della Giudea al regime di locazione in affitto. L'imperatore non costituì su questo territorio alcuna nuova città, disponendo che quella regione diventasse come una sua proprietà privata.[50] A soli 800 soldati mandati in congedo permise loro di costituire una colonia nella località chiamata Emmaus (a 30 stadi da Gerusalemme). Impose a tutti i Giudei, ovunque risiedessero, una tassa di due dracme ciascuno da versare ogni anno al Campidoglio, in sostituzione di quella versata al tempio di Gerusalemme (fiscus iudaicus). Questa fu la sistemazione che venne data alla Giudea.[50]

Nel quarto anno di regno di Vespasiano (dal luglio del 72), Antioco, re della Commagene, fu implicato in vicende tali che lo portarono a dover rinunciare al trono del regno "cliente" di Commagene a vantaggio di un'annessione romana. Giuseppe Flavio racconta che il governatore di Siria, Lucio Cesennio Peto, non sappiamo se in buona o cattiva fede nei confronti di Antioco, mandò una lettera a Vespasiano accusando lo stesso regnante, insieme suo figlio Epifane, di volersi ribellare ai Romani e di aver già preso accordi con il re dei Parti. Bisognava prevenirli per evitare una guerra che coinvolgesse l'impero romano.[76]

Il regno di Commagene al momento dell'annessione all'impero romano nel 72.

Giuntagli una simile denuncia, l'imperatore non poté non tenerne conto, tanto più che la città di Samosata, la maggiore della Commagene, si trova sull'Eufrate, da dove i Parti avrebbero potuto passare il fiume ed entrare facilmente entro i confini imperiali. Così Peto venne autorizzato ad agire nel modo più opportuno. Il comandante romano allora, senza che Antioco e i suoi se l'aspettassero, invase la Commagene alla testa della legio VI Ferrata e di alcune coorti e ali di cavalleria ausiliaria, oltre ad un contingente di alleati dei re Aristobulo di Calcide e Soemo di Emesa.[76]

L'invasione avvenne senza colpo ferire, poiché nessuno si oppose all'avanzata romana o provò a resistere. Una volta venuto a conoscenza di questi fatti, Antioco, non ritenendo opportuno muovere guerra ai Romani, preferì abbandonare il regno, allontanandosi di nascosto su un carro con moglie e figli. Giunto a centoventi stadi dalla città verso la pianura, qui si accampò.[76] Frattanto Peto inviò un distaccamento a occupare Samosata con un presidio, mentre col resto dell'esercito si diresse alla ricerca di Antioco.

I figli del re, Epifane e Callinico, che non si rassegnavano a perdere il regno, preferirono impugnare le armi, e tentarono di fermare l'armata romana. La battaglia divampò violenta per un'intera giornata; ma anche dopo questo scontro dall'esito incerto, Antioco preferì fuggire con la moglie e le figlie in Cilicia. L'aver abbandonato figli e sudditi al loro destino generò nel morale delle sue truppe un tale sconcerto che alla fine i soldati commageni preferirono consegnarsi ai Romani. Al contrario il figlio Epifane, accompagnato da una decina di soldati a cavallo, attraversò l'Eufrate e si rifugiò presso il re dei Parti Vologese, il quale lo accolse con tutti gli onori.[77]

Antioco giunse a Tarso in Cilicia, ma qui venne catturato da un centurione inviato da Peto a cercarlo. Arrestato, fu mandato a Roma in catene. Vespasiano però, rispettoso dell'antica amicizia, ordinò che durante il viaggio fosse liberato dalle catene e lo fece fermare a Sparta. Qui gli concesse cospicue rendite, al fine di poter mantenere un tenore di vita da re.[89] Quando queste informazioni giunsero al figlio, Epifane ed agli altri famigliari, che avevano temuto per la sorte del padre, si sentirono liberati da una grave peso e cominciarono a sperare di potersi riconciliare con l'imperatore.

Chiesero pertanto a Vologese di potergli scrivere per perorare la loro causa. Essi, pur venendo trattati bene, non riuscivano ad adattarsi a vivere al di fuori dell'impero romano. Vespasiano concesse loro, generosamente, di trasferirsi senza paura a Roma insieme al padre, con la promessa che sarebbero stati trattati con ogni riguardo.[89] Pochi anni più tardi, Vespasiano non accettò l'invito di Vologase, re dei Parti, di inviargli come alleato un esercito comandato da uno dei suoi figli, malgrado le insistenze dei figli Tito e Domiziano per essere prescelti nella guida di questa spedizione.[90]

In Europa[modifica | modifica wikitesto]
La conquista del Galles da parte dei Romani ( 43- 78).
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Limes renano, rivolta batava, limes danubiano e campagne in Britannia di Agricola.

Rimasto unico imperatore, Vespasiano, al termine della guerra civile (68-69), procedette in Occidente a soffocare una difficile rivolta tra i Batavi,[91] ispirata dalla sacerdotessa Velleda.[92] Al suo termine della quale le frontiere lungo il Reno furono consolidate con una nuova riorganizzazione che portò anche allo scioglimento di quattro legioni (la I Germanica, IV Macedonica, XV Primigenia e XVI Gallica[66]) e la loro sostituzione con altrettante (II Adiutrix Pia Fidelis,[67] IV Flavia Felix,[66] VII Gemina o Hispana o Galbiana[93] e XVI Flavia Firma[66]).

Contemporaneamente alla rivolta batava si verificò un'invasione da parte delle popolazioni sarmatiche dei Roxolani (nel 70). Essi passarono a sud del Danubio e, giunta inaspettatamente con grande violenza sulla vicina provincia romana di Mesia, sterminarono un gran numero dei soldati disposti a difesa del confine. Lo stesso legatus Augusti pro praetore, Gaio Fonteio Agrippa, che si era fatto loro incontro attaccandoli con grande coraggio, venne ucciso.[94] Devastarono, quindi, l'intero territorio che gli si apriva davanti, saccheggiando ovunque giungessero.

Vespasiano allora, informato dell'accaduto e di quanto fosse stata devastata la Mesia, inviò a punire i Sarmati, Rubrio Gallo, il quale poco dopo li affrontò in battaglia ottenendo una vittoria schiacciante e costringendo i superstiti a ritirarosi nei loro territori. Terminata l'invasione, Gallo provvide a fortificare nuovamente le frontiere provinciali, disponendo in quel settore di limes nuove guarnigioni più numerose e meglio fortificate «sì che passare il fiume era per i barbari del tutto impossibile».[94]

Nuove turbolenze in Britannia iniziarono nel 69, anno dei quattro imperatori. Di fronte al disordine che si era ormai diffuso all'intero Impero romano, Venuzio della popolazione dei Briganti, cacciò l'ex moglie e assunse il controllo del nord del paese. Con la salita al potere di Vespasiano, il nuovo governatore dell'isola, Quinto Petillio Ceriale, pose fine alla rivolta.[95] Negli anni successivi i Romani ripresero la conquista dell'isola. Il governatore Gneo Giulio Agricola, suocero dello storico Tacito e da sempre fedele a Vespasiano,[96] cominciò infatti a sottomettere gli Ordovici nel 77-78 (Galles settentrionale).[97]

L'obbiettivo era quello di occupare anche la Caledonia, nella parte settentrionale dell'isola (l'attuale Scozia). L'anno seguente Vespasiano morì e non poté assistere ai successi di Agricola. In Germania, fu Vespasiano a cominciare l'avanzata in quei territori poi denominati Agri Decumates (posizionati tra Germania superiore e Rezia), grazie alle campagne del Legatus Augusti pro praetore della Gallia Lugdunensis, un certo Gneo Pinario Cornelio Clemente nel 74, il quale ricevette gli ornamenta triumphalia[98] per le imprese vittoriose in Germania.[99] Furono creati, infatti, i forti di Schleitheim, Hüfingen, Rottweil, Waldmossingen, Offenburg[100] e Riegel am Kaiserstuhl.

Morte[modifica | modifica wikitesto]

Fu capace di scherzare anche nei suoi ultimi momenti di vita, quando esclamò: «Purtroppo temo che mi stia trasformando in un Dio».[51] Ad aggravare la malattia sembra sia stata un'indigestione, per aver bevuto una quantità eccessiva di acqua gelata. Egli continuava, però, a compiere i suoi doveri di imperatore, ricevendo anche le legazioni mentre stava a letto. Sentendosi, infine, morire per un improvviso attacco di diarrea, esclamò: «Un imperatore deve morire in piedi». E mentre tentava di alzarsi, spirò tra le braccia di chi lo stava aiutando, il 23 giugno del 79, all'età di sessantanove anni, un mese e sei giorni.[2] Morì nella sua villa presso le terme di Cotilia, nell'attuale provincia di Rieti, dove ogni anno era solito trascorrere l'estate.[2] Verrà divinizzato, in seguito, dal figlio Tito.[101]

Successione[modifica | modifica wikitesto]

Tito, testa in marmo da Pantelleria.jpg Bust Domitian Musei Capitolini MC1156.jpg
Tito, primogenito di Vespasiano (isola di Pantelleria) Domiziano secondo figlio di Vespasiano (Musei Capitolini)
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Dinastia flavia.

Svetonio riferisce che Vespasiano era tanto sicuro del proprio oroscopo e dei suoi figli, dopo tante congiure contro di lui, sventate, da affermare in Senato:[102]

« A me succederanno i miei figli o nessuno! »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 25)

Si dice anche che abbia avuto in sogno una visione, nella quale nel vestibolo del palazzo imperiale vi fosse una bilancia, dove da una parte si trovavano gli imperatori Claudio e Nerone, dall'altra lui stesso ed i suoi figli. Il significato di questa visione era che i due gruppi di imperatori, avrebbero regnato per un identico periodo, di ventisette anni. Claudio e Nerone dal 41 al 68, Vespasiano ed i figli dal 69 al 96.[102]

Alla morte di Vespasiano (23 giugno del 79), il figlio primogenito Tito rimase unico imperatore e, come il padre, escluse il fratello Domiziano dagli affari di Stato, non associandolo all'Impero né concedendogli l'imperium proconsulare[103] né la tribunicia potestas,[104] ma lo dichiarò suo successore, gli fece ottenere il consolato ordinario nell'80 e gli propose anche di sposare la sua unica figlia Giulia.[105]

Domiziano rifiutò tuttavia di separarsi da Domizia ma Giulia, dopo aver sposato il cugino Tito Flavio Sabino, divenne sua amante.[105] Tito fu considerato un buon imperatore dallo storico Tacito e da altri contemporanei; è noto per il suo programma di opere pubbliche a Roma e per la sua generosità nel soccorrere la popolazione in seguito a due eventi disastrosi: l'eruzione del Vesuvio del 79 e l'incendio di Roma dell'80. Celebre è la definizione che diede di lui lo storico Svetonio:

(LA)

« Amor ac deliciae generis humani »

(IT)

« Amore e delizia del genere umano »

(Svetonio, Vita di Tito, 1)

per celebrare i vari meriti di Tito e del suo governo.

Tito morì di febbri malariche ad Aquae Cutiliae il 13 settembre 81, quando con lui si trovava Domiziano:[106] partito subito per Roma, si fece acclamare imperatore dai pretoriani, ai quali distribuì, come tradizione, la stessa somma che essi avevano ricevuto da Tito. Il giorno dopo il Senato gli concesse il titolo di Augusto e di padre della patria, e poi vennero il pontificato, la potestas tribunicia e il consolato.

Tito Flavio Petrone
Vespasio Pollione
Tito Flavio Sabino
Vespasia Polla
Flavio Liberale
Tito Flavio Sabino
1 figlia
Tito Flavio Vespasiano
Flavia Domitilla maggiore
Cassia Longina
Gneo Domizio Corbulone
Petilio Rufo
Tito Flavio Sabino
Tito Flavio Vespasiano
Marcia Furnilla
Tito Flavio Domiziano
Domizia Longina
Flavia Domitilla minore
Quinto Petilio Ceriale
Tito Flavio Clemente
Tito Flavio Sabino
Giulia Flavia Giulia
1 figlio
Gaio Petilio Firmo
Santa Flavia Domitilla
Quinto Petilio Rufo
Vespasiano
Domiziano

Titolatura imperiale[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Monetazione dei Flavi e Età flavia.
Titolatura imperiale Numero di volte Datazione evento
Tribunicia potestas (accettata formalmente in epoca tarda)[107] 10 volte:[108] la prima volta (I) il 1º luglio del 69[1] e poi rinnovatagli ogni anno, alla stessa data.
Consolato 9 volte:[48] nel 51 (I),[14] 70 (II),[109] 71 (III),[110][111] 72 (IV),[52][110] 74 (V),[112][113] 75 (VI), 76 (VII),[114] 77 (VIII)[115][116] e 79 (IX).[117]
Salutatio imperatoria 20 volte:[108][118] I (al momento della assunzione del potere imperiale) nel 69, (II-III-IV[119]-V[120]) nel 70, (VI[121]-VII-VIII[110]) 71, (IX-X[52][112]) 72,[112] (XI) dopo luglio del 73,[122] (XII-XIII[100]-XIV[123]) 74, (XV-XVI[114]-XVII[124]-XVIII[125]) 76, (XIX) 77[115] e (XX) 78.[108][118]
Altri titoli 2 volte: Pater Patriae (in epoca tarda[107]) e Pontifex Maximus nel 70.

Vespasiano nella storiografia[modifica | modifica wikitesto]

Autori antichi[modifica | modifica wikitesto]

Ritratto di Vespasiano.
Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Ritratti di Vespasiano.
Cronologia
Vita di Vespasiano
17 novembre del 9[3] Nasce a Vicus Phalacrinae,[3] in un villaggio non molto distante da Rieti;
17 marzo del 26[3] prende la toga virilis (all'età di sedici anni) durante i liberalia, avversando però per molto tempo il tribunato laticlavio;[3]
38[9] divenne edile;[3][9]
gennaio del 40 ottiene la pretura;[3]
43 partecipò all'invasione romana della Britannia sotto l'Imperatore Claudio, dove si distinse come comandante (legatus legionis) della legio II Augusta;[11][12]
novembre del 51 ottiene il consolato;[14]
primavera del 66 ottiene la conduzione della guerra in Giudea;[11]
1º luglio del 69 le legioni di stanza in Egitto proclamano Vespasiano, imperator[1] (considerato più tardi come il primo giorno del suo principato);
11 luglio del 69 anche l'esercito di Giudea proclama Vespasiano, imperator;
20 dicembre del 69 le truppe di Antonio Primo (pro-Vespasiano) entravano in Roma, impadronendosene e mettendo a morte Vitellio;
21 dicembre del 69 il Senato proclama Vespasiano imperatore e console, insieme al figlio Tito;
70 Vespasiano fa ritorno a Roma. Viene, infine, sedata la rivolta batava, iniziata l'anno precedente.[91]
72 iniziano i lavori di costruzione dell'anfiteatro Flavio (Colosseo) a Roma;
23 giugno del 79[2] muore a Roma, lasciando come suo erede il figlio Tito.

Il grande storico Tacito di Vespasiano scrisse:

« [...] era dotato di tali severi costumi, da esserne considerato l'iniziatore, egli stesso uomo per educazione e per modo di vivere simile agli antichi. »
(Tacito, Annales, III, 55.4)

Svetonio lo descrive come un uomo giusto, onesto, molto legato alle sue origini famigliari, con la sola pecca di essere avido di denaro:[49]

« [...] durante tutto il periodo in cui fu imperatore, dedicò il suo tempo, per prima cosa, a rinforzare la Res publica indebolita e che vacillava, per poi migliorarla. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 8)

Molto legato alla nonna paterna, Vespasiano, divenuto princeps, spesso faceva ritorno alla villa dove era cresciuto quando era fanciullo nei pressi di Cosa.[3]

« Aveva una tale venerazione per la memoria della nonna che durante le festività romane continuò sempre a bere nel suo piccolo bicchiere d'argento. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 2)

Aggiunge ancora Svetonio:

« [...] dall'inizio del suo principato fino alla morte, fu clemente e si comportò come un normale cittadino privato; non cercando mai di nascondere le proprie mediocri origini, né quelle della sua passata condizione, al contrario se ne vantò spesso. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 12)
« Sopportò con grande pazienza la libertà degli amici, le allusioni degli avvocati e l'insolenza dei filosofi. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 13)
« Non sono ricordati [di Vespasiano] né inimicizie né offese, per nulla portato a vendicarsene, fece maritare in modo splendido la figlia del suo nemico Vitellio, donandole una dote ed arredandole la casa. [...] Egli fu tanto lontano dal lasciarsi spingere a rovinare qualcuno per il solo sospetto o la paure, che quando alcuni suoi amici gli dissero di stare attento a Mettio Pompusiano, poiché gli avevano predetto l'impero, lo nominò invece console, rispondendo loro che si sarebbe ricordato di questo beneficio in futuro. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 14)
« Vespasiano non si rallegrò mai per l'uccisione di alcuno, al contrario pianse e si lamentò per le giuste condanne. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 15)

Era poi di corporatura tarchiata, con le membra robuste e ferme, il volto quasi contratto in uno sforzo.[126]

« [...] avendo chiesto ad un cittadino che cosa pensassse di lui, questi gli rispose: «Te lo dirò quando avrai finito di scaricarti il ventre». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 20)

Tutto sommato godette di buona salute, accontentandosi di mantenerla con massaggi regolari a tutto il corpo, stando a digiuno un giorno al mese.[126] Era poi sua abitudine svegliarsi molto presto, leggere lettere e rapporti di tutti i suoi funzionari, ricevere amici (come spesso accadeva con Gaio Plinio Secondo[127]), vestirsi da solo, fare una passeggiata in lettiga, riposare con una delle tante concubine, che dopo la morte di Cenide, ne avevano preso il posto.[128]

« [...] e quando passava dalla sua camera al bagno e poi al triclinio, si dice che in nessun momento fosse più indulgente, tanto che i suoi famigliari sceglievano soprattutto questi momenti per chiedergli favori. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 21)

Durante la cena, come in ogni altra occasione, era molto socievole ed aveva spesso battute molto spiritose, anche se scurrili e volgari, utilizzando anche parole oscene.[129]

« Avendo fatto un regalo di quattrocentomila sesterzi per una notte, ad una donna che aveva detto di struggersi d'amore per lui, quando il suo tesoriere gli chiese sotto quale voce dovesse registrare la spesa, rispose: «A Vespasiano, amato appassionatamente». »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 22)

L'avarizia con cui Tacito e Svetonio[49] stigmatizzano Vespasiano, sembra essere stata in realtà una illuminata economia, che, nello stato disordinato delle finanze di Roma, era una necessità assoluta.[49] Si racconta che, quando gli fu chiesto se avesse desiderato o no una statua in suo onore, lui rispose, indicando un piattino d'argento: «Certo. Quello sarà il piedistallo». Altri episodi sono raccontati da Svetonio:

« Avendogli chiesto i marinai qualcosa per le loro scarpe (un'indennità), poiché dovevano fare a piedi spesso da Ostia e Pozzuoli fino a Roma, Vespasiano non reputò giusto non aver dato loro una risposta, aggiunse quindi che l'ordine era di andare scalzi, tanto che ancora oggi si fa così [epoca di Svetonio]. »
(Svetonio, Vita di Vespasiano, 8)
« [...] si dedicò apertamente a speculazioni, che sarebbero state poco corrette anche come privato cittadino, comprando e poi rivendendo a prezzi superiori. E non esitò anche a vendere le cariche magistraturali a candidati, oppure le assoluzioni agli imputati, che fossero innocenti o colpevoli. [...] Si crede anche che, normalmente promuoveva agli incarichi di esattori delle imposte i più rapaci, per poi condannarli una volta arricchiti; tanto che il popolo diceva che li usasse come le spugne, prima facendoli inzuppare quando erano spogli, e poi spremendoli una volta inzuppati. »
(Svetonio, vita di Vespasiano, 16)

Militare di carriera, dimostrò di avere notevoli doti tattico-strategiche, evitando di esporre il proprio esercito ad inutili rischi, quando non fosse strettamente necessario, come racconta Giuseppe Flavio nel corso della prima guerra giudaica:

« Se qualcuno crede che la gloria della vittoria sarà meno bella senza combattere, prenda in considerazione che la vittoria ottenuta senza correre pericoli è migliore rispetto a quella che ne consegue passando attraverso l'incertezza della battaglia. E non sono meno gloriosi coloro che raggiungono gli stessi risultati in combattimento, riuscendo a dominarsi con freddo freddo calcolo. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 6.2.372-373.)

Autori moderni[modifica | modifica wikitesto]

Sembra che Vespasiano non fosse un eccellente soldato, come il figlio Tito, ma dimostrò forza di carattere e abilità, ebbe un continuo desiderio di stabilire ordine e sicurezza sociale per i suoi sudditi. Fu puntuale e regolare nelle sue abitudini, occupandosi dei suoi uffici la mattina di buon'ora e godendosi poi il riposo. Temprato dal rigore dei legionari, di fatto non fu incline ad alcuna forma di vizio.

Forse non ebbe le caratteristiche attese di un imperatore della precedente dinastia giulio-claudia, ma fu apprezzato da tutti, sia dalla plebe sia dal patriziato senatorio. Vespasiano fu dunque il fautore di un rinascita economica e sociale in tutto l'Impero che godette, grazie al suo governo, di una pax rimasta proverbiale. Di fatto per questo fu uno degli imperatori più amati della storia romana.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l Svetonio, Vita di Vespasiano, 6.
  2. ^ a b c d e Svetonio, Vita di Vespasiano, 24.
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p Svetonio, Vita di Vespasiano, 2.
  4. ^ a b c d e f Svetonio, Vita di Vespasiano, 1.
  5. ^ a b c d e f g h i j Svetonio, Vita di Vespasiano, 3.
  6. ^ John Harvey Kent, Corinth VIII.3. The inscriptions, 1926-1950, Princeton (NJ), American School of Classical Studies at Athens, 1966, n° 84.
  7. ^ In questo caso si trattava della Mesia, che a quel tempo disponeva di un paio di legioni: la legio IV Scythica e la legio V Macedonica.
  8. ^ Levick 1999, p. 8. Sembra che Vespasiano abbia militato come tribuno laticlavio nella legio V Macedonica, che, quarant'anni più tardi, partecipò all'assedio di Gerusalemme del 70.
  9. ^ a b c d Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LIX, 12.3.
  10. ^ Campbell 2006, p. 16.
  11. ^ a b c d e f g h i j k l Svetonio, Vita di Vespasiano, 4.
  12. ^ a b Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae 13.5
  13. ^ Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LX, 20.3.
  14. ^ a b c Giuseppe Camodeca, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum. Edizione critica dell'archivio puteolano dei Sulpicii, Roma, Quasar, 1999, nº 17. ISBN 88-7140-145-X
  15. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 1.1.
  16. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 1.2.
  17. ^ Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXIII, 22.1a.
  18. ^ a b c d Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 2.4.
  19. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 1.3.
  20. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 7.22.
  21. ^ a b Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 2.1.
  22. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 2.2-2.3.
  23. ^ a b Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 4.1.
  24. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 8.8.
  25. ^ a b Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, III, 8.9.
  26. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 9.1.
  27. ^ a b c Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 9.2.
  28. ^ Tacito, LXXIV-LXXVIII in Historiae, II.
  29. ^ a b c d Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.6.
  30. ^ Tacito, Historiae, a cura di Azelia Arici, p. 226, ISBN 88-02-01848-0.
  31. ^ Tacito, LXXIX-LXXXI in Historiae, II.
  32. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.2.
  33. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.3.
  34. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 10.4.
  35. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 11.1.
  36. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 11.2.
  37. ^ a b c d Svetonio, Vita di Vespasiano, 7.
  38. ^ Tacito, Historiae, III, 19-35.
  39. ^ a b c Svetonio, Vita di Vitellio, 15.
  40. ^ a b c d e f g h Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 11.4.
  41. ^ Tacito, Historiae, III, 74. Secondo Svetonio (Vita di Domiziano, 1), invece, Domiziano si sarebbe rifugiato presso la madre di un suo amico.
  42. ^ a b c Svetonio, Vita di Vitellio, 16.
  43. ^ Tacito, Historiae, IV, 3, Suetonio, Domiziano, 1; Cassio Dione, LXVI, 1.
  44. ^ Cassio Dione, LXV, 22.
  45. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, IV, 11.5.
  46. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 2.1.
  47. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 4.1.
  48. ^ a b c d e f g Svetonio, Vita di Vespasiano, 8.
  49. ^ a b c d e f Svetonio, Vita di Vespasiano, 16.
  50. ^ a b c d Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 6.6.
  51. ^ a b Svetonio, Vita di Vespasiano, 23.
  52. ^ a b c CIL XI, 3605.
  53. ^ a b c d Svetonio, Vita di Vespasiano, 9.
  54. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae 9.1
  55. ^ a b c d Svetonio, Vita di Vespasiano, 17.
  56. ^ a b Svetonio, Vita di Vespasiano, 10.
  57. ^ a b Svetonio, Vita di Vespasiano, 11.
  58. ^ Svetonio, Vita di Vespasiano, 19.
  59. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 5.7.
  60. ^ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia XXXVI 102.
  61. ^ AE 1995, 111.
  62. ^ Marziale, Spettacoli, II, 1; Epistole, I, 71, 7; Cassio Dione, LXVI, 15
  63. ^ Girolamo, in Hab. c3; Svetonio, Vita di Vespasiano, 18; Plinio il Vecchio, l.c.; cfr. Historia Augusta, Commodo, 17; Cassio Dione, Storia di Roma, LXXII, 15.
  64. ^ a b Svetonio, Vita di Vespasiano, 18.
  65. ^ Cassio Dione, LXVI, 12-13; Svetonio, Vita di Vespasiano, 15; Epitteto, Dissertazioni, I, 2, 19.
  66. ^ a b c d e f Keppie 1984, p. 214.
  67. ^ a b Keppie 1984, p. 213.
  68. ^ Cambridge Univ. Press, Storia del mondo antico, L'impero romano da Augusto agli Antonini, vol. VIII, Milano 1975, p. 574.
  69. ^ Anna Maria Liberati e Francesco Silverio, Organizzazione militare: esercito, collana Vita e costumi dei romani antichi 5, Roma, Quasar, 1988, p. 18.
  70. ^ János Szilágyi (1953). Les variations des centres de prépondérance militaire dans les provinces frontières de l'empire romain. Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae 2 (1-2): p. 205. ISSN: 0044-5975
  71. ^ Luttwak 1981, pp. 159-162.
  72. ^ Cambridge Univ. Press, Storia del mondo antico, L'impero romano da Augusto agli Antonini, vol. VIII, Milano 1975, p. 531.
  73. ^ Alessandro Milan e Salvatore Calderone, Le forze armate nella storia di Roma antica, XII, Roma, Jouvence, 1993, p. 116. ISBN 88-7801-212-2
  74. ^ a b Keppie 1984, p. 176.
  75. ^ Keppie 1984, pp. 174-175.
  76. ^ a b c d Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 7.1.
  77. ^ a b Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 7.2.
  78. ^ a b Goldsworthy 2003, p. 294.
  79. ^ Matyszak, p. 192
  80. ^ Matyszack, p. 194.
  81. ^ a b Goldsworthy 2003, p. 295
  82. ^ Frontino, Stratagemata, II, 1.17.
  83. ^ Antonio Santosuosso, Storming the Heavens: Soldiers, Emperors and Civilians in the Roman Empire, Boulder (Colorado), Westview Press, 2001, p. 146. ISBN 08-1333-523-X
  84. ^ Luttwak 1981, p. 3
  85. ^ Goldsworthy 2003, p. 292
  86. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 5.3.
  87. ^ Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 5.4-6.
  88. ^ Svetonio, Tito, 7.
  89. ^ a b Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 7.3.
  90. ^ Svetonio, Vita di Tito, 2 e Vita di Domiziano, 2; Cassio Dione, LXVI, 15.
  91. ^ a b Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 4.2.
  92. ^ Tacito, De origine et situ Germanorum, 8.3.
  93. ^ Tacito, Historiae, 86; III, 7 e 21.
  94. ^ a b Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 4.3.
  95. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae 16-17; Storie 1.60, 3.45.
  96. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae 7.3
  97. ^ Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae 18-38.
  98. ^ A Gneo Pinario Cornelio Clemente potrebbe attribuirsi la costruzione di una strada militare che congiungeva Argentoratae al forte di Rottweil, che continuava poi in due direzioni: a sud fino alla fortezza legionaria di Vindonissa; ad est fino al Danubio nei pressi di Laiz (Dietwulf Baatz, Der römische Limes: Archäologische Ausflüge zwischen Rhein und Donau, Berlin, Mann, 1993, cartina p. 18. ISBN 37-8611-701-2).
  99. ^ CIL XI, 5271.
  100. ^ a b CIL XIII, 9082.
  101. ^ Gaio Plinio Cecilio Secondo, Panegirico di Traiano, 11.1.
  102. ^ a b Svetonio, Vita di Vespasiano, 25.
  103. ^ Era il potere di comando su tutte le province dell'Impero.
  104. ^ In CIL III, 318 Domiziano appare CAES(ar) / DIVI F(ilius) DOMITIANVS / CO(n)S(ul) VII PRINC(eps) IVVENTVTIS. La tribunicia potestas è il diritto di veto assoluto sugli atti dei magistrati.
  105. ^ a b Svetonio, Vita di Domiziano, 22.
  106. ^ Molti storici non mancano di insinuare che Domiziano lo avesse fatto avvelenare: Cassio Dione, LXVI, 26, Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VI, 32; Erodiano, IV, 5, 6; Aurelio Vittore, I Cesari, 10 e 11.
  107. ^ a b Svetonio, Vita di Vespasiano, 12.
  108. ^ a b c CIL VI, 40448.
  109. ^ AE 1955, 198.
  110. ^ a b c AE 1934, 261.
  111. ^ CIL X, 4734.
  112. ^ a b c AE 1934, 171.
  113. ^ CIL VII, 1204.
  114. ^ a b Stéphane Gsell, Inscriptions latines de l'Algérie, Paris, Champion, 1922, t. 1, 3885; Robin George Collingwood; Richard Pearson Wright, The Roman Inscriptions of Britain (RIB), Vol. 2, fasc. 1: Instrumentum Domesticum. The Military diplomata, Metal ingots, Tesserae, Dies, Labels and lead sealings, Gloucester 1990: 2404,34 e 35.
  115. ^ a b CIL VIII, 8, CIL XVI, 23, CIL II, 4814, CIL X, 3829 e CIL XVI, 158.
  116. ^ AE 1963, 11.
  117. ^ AE 1975, 554.
  118. ^ a b AE 1983, 586; CIL XI, 5166.
  119. ^ CIL II, 14-2-1, 897 = Géza Alföldy, Die Römischen Inschriften von Tarraco, Berlin, W. de Gruyter, 1975, nº 72 (foto). ISBN 31-1004-403-X
  120. ^ AE 1978, 92.
  121. ^ CIL XVI, 16.
  122. ^ CIL XI, 2957.
  123. ^ CIL XIII, 8046 e AE 1968, 446.
  124. ^ CIL VIII, 10116.
  125. ^ AE 1999, 1023.
  126. ^ a b Svetonio, Vita di Vespasiano, 20.
  127. ^ Gaio Plinio Cecilio Secondo, Epistolario, III, 5.9.
  128. ^ Svetonio, Vita di Vespasiano, 21.
  129. ^ Svetonio, Vita di Vespasiano, 22.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Fonti antiche
Fonti storiografiche moderne
Romanzi storici
  • Roberto Fabbri, Il tribuno, vol.1, Roma, Newton Compton, 2013, ISBN 978-8854147249.
  • Roberto Fabbri, Il giustiziere di Roma, vol.2, Roma, Newton Compton, 2014, ISBN 978-8854161221.
  • Roberto Fabbri, Il generale di Roma, vol.3, Roma, Newton Compton, 2014, ISBN 978-8854160750.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Predecessore Imperatore romano Successore Project Rome logo Clear.png
Vitellio 69 - 79 Tito
Predecessore Console romano Successore Consul et lictores.png
Gaio Antistio Vetere II 51 Fausto Cornelio Silla Felice I
con Marco Suillio Nerullino con Claudio V con Marco Salvio Otone
Aulo Cecina Alieno 70 Imperatore Cesare Vespasiano Augusto III II
con Tito Flavio Sabino con Tito Cesare Vespasiano con Marco Cocceio Nerva
Imperatore Cesare Vespasiano Augusto II 71 Imperatore Cesare Vespasiano Augusto IV III
con Tito Cesare Vespasiano con Marco Cocceio Nerva con Tito Cesare Vespasiano II
Imperatore Cesare Vespasiano Augusto III 72 Cesare Domiziano II IV
con Marco Cocceio Nerva con Tito Cesare Vespasiano II con Lucio Valerio Catullo Messallino
Cesare Domiziano II 74 Imperatore Cesare Vespasiano Augusto VI V
con Lucio Valerio Catullo Messallino con Tito Cesare Vespasiano III con Tito Cesare Vespasiano IV
Imperatore Cesare Vespasiano Augusto V 75 Imperatore Cesare Vespasiano Augusto VII VI
con Tito Cesare Vespasiano III con Tito Cesare Vespasiano IV con Tito Cesare Vespasiano V
Imperatore Cesare Vespasiano Augusto VI 76 Imperatore Cesare Vespasiano Augusto VIII VII
con Tito Cesare Vespasiano IV con Tito Cesare Vespasiano V con Tito Cesare Vespasiano VI
Imperatore Cesare Vespasiano Augusto VII 77 Decimo Giunio Novio Prisco Rufo VIII
con Tito Cesare Vespasiano V con Tito Cesare Vespasiano VI con Lucio Ceionio Commodo
Decimo Giunio Novio Prisco Rufo 79 Tito Cesare Vespasiano VIII IX
con Lucio Ceionio Commodo con Tito Cesare Vespasiano VII con Cesare Domiziano VII
Controllo di autorità VIAF: 96539514 · LCCN: n50013948 · GND: 11862671X · BNF: cb14480609t (data)